Inizio contenuto principale del sito

  • Centro di ricerca interdisciplinare sulla Sostenibilità e il Clima

"Il cambiamento climatico richiede urgenti azioni di mitigazione": contributo di Roberto Buizza, professore ordinario della Scuola Sant’Anna, su quattro aspetti fondamentali per comprendere la necessità di ridurre le emissioni di gas serra al più presto

“Capire l'inerzia delle componenti del sistema Terra è fondamentale per spiegare perché lo stato del clima oggi è dovuto all'accumulo di emissioni dal periodo preindustriale, e perché dobbiamo agire ora per limitare il riscaldamento futuro”

Data pubblicazione: 09.09.2024
Roberto Buizza
Back to Sant'Anna Magazine

Il Sant’Anna Magazine ospita un intervento a firma di Roberto Buizza, professore ordinario di Fisica del sistema Terra, dei pianeti, dello spazio e del clima, Centro di Ricerca Interdisciplinare per la Sostenibilità e il Clima della Scuola Superiore Sant'Anna, che analizza quattro aspetti fondamentali per comprendere la necessità di ridurre le emissioni di gas serra al più presto.

 

di Roberto Buizza (*)

“Il Servizio Clima del progetto europeo Copernicus (C3S) ha appena comunicato che la temperatura media globale degli ultimi 12 mesi (settembre 2023 – agosto 2024) è stata la più alta mai registrata per un periodo di 12 mesi, 1,64°C al di sopra della media preindustriale del periodo 1850-1900. Ha inoltre riferito che sia la media globale sia la media europea per l'estate boreale 2024 (giugno-agosto) sono state le più alte mai registrate.

Vorrei commentare quattro aspetti fondamentali che ci aiutano a comprendere la necessità di ridurre le emissioni di gas serra al più presto. Comprendere l'inerzia delle componenti del sistema Terra è fondamentale per spiegare perché lo stato del clima oggi è dovuto all'accumulo di emissioni dal periodo preindustriale, e perché dobbiamo agire ora per limitare il riscaldamento futuro. Sapere chi sono i maggiori responsabili delle emissioni accumulate è fondamentale per comprendere l'attuale posizione dei Paesi nella mitigazione del clima. Sapere cos'è un punto di non ritorno e come potrebbe essere superato è essenziale per capire perché non possiamo ritardare la riduzione delle emissioni. Infine, sapere come sono evolute le emissioni italiane negli ultimi decenni illustra come l'Italia abbia agito per affrontare il cambiamento climatico.  

L'inerzia dei componenti del sistema Terra aumenta la complessità nell'affrontare il cambiamento climatico e spiega il ritardo tra le azioni e le risposte. Spiega perché le azioni di oggi avranno un impatto soprattutto in un lontano futuro e perché sono necessarie azioni immediate per evitare danni futuri e potenziali cambiamenti irreversibili. Proprio a causa di questa inerzia, bisogna agire ora per garantire un futuro sostenibile alle prossime generazioni.

Non ci sono dubbi sul fatto che noi, esseri umani, siamo responsabili del cambiamento climatico in corso, caratterizzato in modo unico da un riscaldamento globale che si verifica in un intervallo di tempo molto breve (circa 1,5 ° C in circa 100 anni) rispetto alle variazioni climatiche naturali del passato. Più precisamente, l'uso continuato di combustibili fossili (carbone, petrolio da combustione e gas) e lo sfruttamento del suolo sono le principali cause del cambiamento climatico in corso. Alcuni di noi sono più responsabili di altri. Dato che una molecola di anidride carbonica (CO2) rimane nell'atmosfera per centinaia di anni, il riscaldamento che sperimentiamo oggi è il risultato dell'accumulo delle emissioni di gas serra dall'epoca preindustriale, quando l'uso di combustibili fossili ha iniziato a crescere in modo sostanziale. Se confrontiamo le emissioni accumulate tra il 1850 e il 2019, vediamo che il Nord America e l'Europa sono i principali responsabili, in quanto hanno causato rispettivamente il 23% ed il 16% delle emissioni accumulate nel periodo 1850-2019, seguite dall'Asia orientale (12%), dall'America Latina e dai Caraibi (11%) e poi dalle altre regioni.

Continua ad esistere una grande disparità tra le emissioni pro capite delle diverse regioni, con, ad esempio, nel 2019 il Nord America caratterizzata da circa 18 tCO2-eq pro capite, l'Europa 8 tCO2-eq pro capite e circa 3 miliardi di persone con meno di circa 3,5 tCO2-eq pro capite (dati dal 6° Rapporto di Valutazione dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) pubblicati nel 2021-2022). SI sottolinea inoltre che i paesi che hanno le minori emissioni pro capite sono spesso quelli più colpiti dagli impatti del cambiamento climatico, ad esempio secondo l'indice di rischio climatico (CRI) tra il 2000 e il 2019, che dipende dalle vittime e dalle perdite economiche, tra il 2000 e il 2019.

Il 2023 è stato l'anno più caldo mai registrato, e negli ultimi 12 mesi (settembre 2023-agosto 2024) la temperatura media globale è stata 1,64 °C al di sopra del livello preindustriale (1850-1900). Negli ultimi 20 anni, il riscaldamento globale ha subito un'accelerazione, passando da circa +0,11 °C ogni decennio nel 1980-2001, a circa +0,25 °C ogni decennio nel 2002-2023. Poiché le emissioni globali continuano ad aumentare, le previsioni basate sulle emissioni correnti indicano che il riscaldamento globale medio annuo raggiungerà i 2,0oC molto probabilmente tra il 2037 e il 2050. Il continuo riscaldamento potrebbe portarci a superare alcuni punti di non ritorno del sistema Terra, cioè innescare cambiamenti quasi irreversibili in alcuni dei componenti del sistema Terra che determinano, a loro volta, il clima, come le calotte polari, i ghiacciai della Groenlandia o la foresta amazzonica. Ad esempio, nell'Artico, a causa di stagioni fredde sempre più calde e più brevi, potremmo assistere a una riduzione sempre più importante della formazione del ghiaccio invernale, che causerebbe un’accelerazione dello scioglimento nei mesi caldi. L'effetto sarebbe una sostanziale riduzione dell'estensione del ghiaccio marino sia nei mesi caldi che in quelli freddi, che potrebbe portare a condizioni di "Artico blu", completamente libero dai ghiacci. Fatto che avrebbe un sostanziale riscontro sull'albedo terrestre, la cui diminuzione potrebbe potenzialmente accelerare ulteriormente il riscaldamento globale.

L'Italia nel 2022 aveva circa lo 0,7% della popolazione mondiale e nel periodo 1850-2022 ha emesso circa l'1% delle emissioni di gas serra globali. Negli ultimi decenni, le emissioni pro capite dell'Italia sono state in linea con le emissioni pro capite europee: ad esempio, nel 2022 le emissioni pro capite italiane sono state di 6,5 t CO2-eq, e quelle europee di 7,5 t CO2-eq. Se si considera l'ultimo decennio 2013-2022, l'Italia ha ridotto le emissioni in media dello 0,5% all'anno, rendendo quasi impossibile il raggiungimento dell'obiettivo "fit for 55" dell'Unione Europea (una riduzione delle emissioni del 55% rispetto alle emissioni del 1990) nel 2030. L'Italia potrebbe ancora raggiungere questo obiettivo se negli anni 2023-2030 riducesse le emissioni in media del 7% all'anno, un valore 14-volte quello ottenuto negli ultimi dieci anni. Si noti inoltre che per raggiungere l'obiettivo di "zero emissioni nette" entro il 2050, l'Italia deve ridurre le emissioni di oltre il 7% all'anno.

Poiché il Mediterraneo è una delle aree più soggette al riscaldamento, con un riscaldamento medio che è il doppio del riscaldamento globale (quindi circa 3,0 °C rispetto al livello preindustriale) dovrebbe sia essere una delle massime priorità dell'Italia sostenere gli sforzi per ridurre le emissioni globali molto rapidamente, che dare l'esempio di come si possa disaccoppiare la crescita del benessere da quella delle emissioni di gas serra. In caso contrario, aumenteranno gli impatti negativi del cambiamento climatico su questa regione, in particolare in Italia. Le proiezioni climatiche riportate nel 6° Rapporto di Valutazione dell'IPCC indicano infatti per l'Italia un aumento della probabilità di ondate di calore più frequenti e intense (con impatti negativi sulla salute), siccità estive (con impatti negativi sull'agricoltura/allevamento) e meno eventi di precipitazioni ma più intense (con un aumento del numero di inondazioni), uno scioglimento più rapido dei ghiacciai alpini (con impatti negativi sull'accesso all'acqua),  e un aumento dell'immigrazione netta di rifugiati climatici.

Non esiste un livello sicuro di riscaldamento globale. Più consumiamo combustibili fossili, più emettiamo gas serra, più il globo diventa caldo e più intensi saranno i danni, soprattutto sulle comunità che hanno meno risorse per adattarsi ai cambiamenti climatici”.

(*) Professore ordinario di Fisica del sistema Terra, dei pianeti, dello spazio e del clima, Centro di Ricerca Interdisciplinare per la Sostenibilità e il Clima della Scuola Superiore Sant'Anna